| Io lo vedo stasera! Intendi dire che è un po' noioso? Ma in fondo è proprio il suo stile ad essere lento, riflessivo... Comunque farò in modo di non aspettarmi troppo, anche se lo attendo da molto e sono davvero curiosa!
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E' quasi sempre notte laggiù, anche se Elisabeth non saprebbe dirlo con sicurezza. Almeno quando lavora. Sta dietro al bancone, servendo dell'alcool "che non ha un buon sapore, ma nessuno lo beve per questo" e un orecchio gentile, insieme a qualche timido consiglio e sguardi furtivi. Sta nell'ombra e si lascia piangere sulla spalla da anime sperdute, spezzate, disorientate, disperse quanto lei. Lei che per prima, ferita e confusa, si era confessato con un altro cuore infranto, dal quale ha deciso di dissolversi senza un addio perchè "non voleva più essere la persona che era". E da quel momento sfiora altre dolenti voci, supportandole, specchiandosi in loro e infine, grazie a loro, ritrovandosi. Wong Kar-way osserva la poetica vicenda di Elisabeth in punta di cinepresa, dal buco della serratura, senza osare mai penetrarla troppo. Si limita ad accarezzarla da lontano, oltre le vetrate luccicanti, oltre le porte, da telecamere rotte, attraverso riflessi sulle auto e sulle finestre; preferisce non invadere l'infinita e sfumata sofferemza che ogni vibrante naufrago porta con sé e che solo a tratti, per caso o per volontà, emerge. E se è vero che "quando te ne vai dai posti, di te resta solo il ricordo che hai lasciato agli altri", sono le immagini a scolpirsi nella mente e nel cuore dopo che nella pellicola: mazzi di chiavi di porte che forse nessuno ha il coraggio di (ri)aprire, una torta che seppur buona nessuno vuole mangiare, un bacio rovesciato e quasi onirico, la paura di lasciar andare e lasciarsi andare, di avere fiducia e di perderla, il bisogno di condividere con qualcuno un dolore troppo pesante, nella speranza di scoprire ancora una parvenza di umanità anche in degli sconosciuti. Sì, dopotutto, qualcosa in più rimane.
Edited by Librodipendente - 29/3/2008, 23:59
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